Autori: Matteo Consagra, Lean Coach, Istituto Lean Management; Massimiliano Bruni, Professore Associato di Strategia aziendale all’Università IULM di Milano e Affiliate professor dell’Area Strategia e Imprenditorialità SDA Bocconi; Stefano Marco Papini, advisor, imprenditore e business angel.
Hoshin Kanri e strategia aziendale
Il green book “Toyota way 2001” raccoglie i principi e i comportamenti alla base del Toyota Production System e del comportamento dei manager della casa automobilistica giapponese ormai da decenni.
I principi sono raccolti in due voci principali:
- Il miglioramento continuo
- Il rispetto per le persone
A loro volta questi sono ulteriormente dettagliati.
Nel miglioramento continuo si trovano il kaizen e il genchi gembutsu (vai e vedi) di cui si è scritto molto, ma è facile dimenticarsi che il tutto parte con una sfida a lungo termine (Cit “Sviluppiamo una visione a lungo termine, accogliamo le sfide con coraggio e creatività per realizzare i nostri sogni”).
Sotto il rispetto per le persone si trovano il lavoro di team (Cit. “Stimoliamo la crescita professionale e personale, condividiamo le opportunità di sviluppo e massimizziamo le performance individuali e di team”) e il rispetto (Cit. “Rispettiamo gli altri, facciamo ogni sforzo per comprenderci a vicenda, ci assumiamo le responsabilità e ci fidiamo degli altri”).
In questo articolo vogliamo parlare proprio degli elementi che compongono la sfida, ovvero visione, creatività, coraggio, sogni e come questi vadano ad alimentare la strategia e la sua declinazione nell’organizzazione, ovvero l’Hoshin Kanri.
“Hoshin Kanri per l’azienda lean” il libro di Thomas Jackson è il testo di riferimento nel movimento lean per le modalità operative e gestionali di definizione e declinazione della strategia a medio e breve termine. Le aziende che nel loro processo di trasformazione si trovano a dover armonizzare tutti i cantieri kaizen e i progetti di trasformazione o evoluzione, direttamente o per tramite di consulenti, fanno spesso riferimento a quanto indicato in questo testo.
Come indicato dallo stesso Jackson nelle prime pagine del suo lavoro, però, i sette esperimenti (v. fig. 1) descritti partono dall’aver già definito vision, mission, valori e intento strategico di lungo periodo dell’organizzazione e hanno come obiettivo, attraverso i PDCA nidificati nei diversi livelli, di creare una organizzazione adattiva.
Fig. 1 I sette esperimenti
Lean Transformation Framework
Anche il “Lean Transformation Framework (LTF)” di John Shook fornisce un impianto che permette di non dimenticare nessuna dimensione necessaria ad una trasformazione sostenibile, quale nello specifico la realizzazione di una strategia, ma ancora una volta non è specificato un supporto per rispondere con un contenuto solido e differenziale alle domande di cui è composto.
Di particolare importanza è la prima, che condiziona ovviamente le altre, cioè “quale problema stiamo cercando di risolvere?” che a livello azienda si traduce nella realizzazione dell’intento strategico.
Un elemento peculiare del LTF di Shook, che, sebbene di fondamentale importanza, non si ritrova in altri modelli di supporto all’evoluzione di una organizzazione, è lo stile di leadership e management.
Questo, nel modello di Shook, deve essere legato da una parte alla percezione dei problemi come fonte di opportunità di apprendimento e miglioramento una volta rimossa la causa radice piuttosto che di biasimo nei confronti di un presunto colpevole da punire e dall’altra all’abitudine di risolvere i problemi andando nel gemba a vedere come si svolgono i fatti e non dalla scrivania.
LEAN TRANSFORMATION FRAMEWORK SPIEGATO DA JOHN SHOOK
La Strategy Map nel processo di Hoshin kanri
Tornando al tema dell’individuazione dell’intento strategico, a nostro avviso uno strumento efficace per alimentare la fase iniziale e guidare il processo di implementazione della strategia aziendale è la Strategy Map di Kaplan e Norton.
Ma cos’è e come si integra nel processo di Hoshin Kanri?
La Strategy Map nasce verso la fine degli anni ‘90 dal lavoro di Robert Kaplan e David Norton a supporto delle molte aziende che sentivano il bisogno di avere uno strumento per riflettere, confrontarsi e rappresentare le proprie linee guida strategiche in maniera strutturata, ma efficace.
Fino a quel momento il mondo economico era dominato da aziende industriali che generavano valore essenzialmente con la trasformazione di materie prime e semilavorati in prodotti finiti e il valore economico era ben rappresentato da immobilizzazioni, impianti, terreni e macchinari.
In gran parte i vertici aziendali ritenevano che fosse sufficiente pianificare la strategia attraverso business plan contenenti proiezioni di conto economico, flussi di cassa e stati patrimoniali che ben rappresentavano tali valori.
Nell’era dell’informazione invece la maggior parte del valore nasce da aspetti più intangibili come ad esempio lo scambio di dati, la soddisfazione e la relazione coi clienti, il know-how e la capacità di problem-solving delle persone. Emerge così la necessità di avere uno strumento per potere rappresentare tali elementi che, seppur intangibili, generano una parte fondamentale del valore aziendale.
Già qualche anno prima Kaplan & Norton avevano creato uno strumento per guidare l’azione aziendale attraverso la misurazione e l’incentivazione su quattro principali dimensioni:
- la prospettiva economica finanziaria,
- la prospettiva del cliente,
- la prospettiva dei processi interni,
- la prospettiva dell’apprendimento e crescita.
E’ nata così la “Balanced scorecard”, di rapida e ampia diffusione nei contesti manageriali.
La Strategy Map costituisce un ampliamento e un rafforzamento della Balanced scorecard, spostando il focus dalla gestione operativa alla gestione strategica.
La Strategy Map ha lo scopo di fornire una rappresentazione visuale degli obiettivi strategici e delle relazioni di causa-effetto che si generano tra questi (v. fig. 2) al fine di guidare l’azione nel lungo e medio periodo e dare corpo alla mission, alla vision o al purpose aziendale. Tali obiettivi vengono definiti lungo le quattro dimensioni della Balanced Scorecard.
Rispetto alla Balanced Scorecard, che di fatto costituisce uno strumento di coordinamento e di valutazione della gestione operativa del management e dell’azienda, la Strategy Map si afferma come strumento di esplicitazione e comunicazione del disegno strategico di lungo e medio periodo, un vero e proprio sistema di management strategico in grado di definire e prioritizzare le iniziative strategiche, rappresentando in maniera chiara come ciascuna iniziativa abbia effetto sulle altre e alla fine sui risultati aziendali.
Cit. In sintesi, la balance scorecard rappresenta le conoscenze, le competenze e i meccanismi di cui le persone hanno bisogno, [prospettiva di apprendimento e crescita] per innovare e sviluppare i giusti asset strategici e le efficienze [prospettiva dei processi interni] che creano uno specifico valore per il mercato [prospettiva dei clienti], il quale porterà a generare un più alto valore per gli azionisti [prospettiva economica finanziaria].
La definzione degli obiettivi
Il miglior modo per costruire la Strategy Map è partire dalla definizione degli obiettivi di natura economico-finanziaria per poi andare a individuare le iniziative strategiche che è opportuno avviare per raggiungerli. Tali obiettivi vengono definiti sulle quattro prospettive già introdotte con la Balanced Scorecard. Per ogni prospettiva vengono definiti obiettivi, misure target e attività.
Si tratta di un lavoro molto utile per alimentare il processo di hoshin kanri e quindi collegare la strategia all’execution, che attraverso il PDCA permette di adattare le azioni decise e intraprese al contesto in continuo mutamento.
Il processo di costruzione della Strategy Map può richiedere anche diversi mesi e ha solitamente un orizzonte temporale a 3 o 5 anni. In contesti in così rapida evoluzione come quelli attuali risulta spesso efficace adottare un approccio cosiddetto Zoom In e Zoom Out, fissando obiettivi sia di breve che di medio-lungo periodo, e andando poi a declinare iniziative con un orizzonte di 12/18 mesi. Tale approccio consente infatti di impostare iniziative di ampio respiro, pensare in grande, ma allo stesso tempo affrontare il primo passo con qualcosa di molto concreto.
Si parte quindi dalla prospettiva economico finanziaria andando a declinare gli obiettivi dell’azienda in termini di EVA (valore economico aggiunto), volume di affari e marginalità. Solitamente in questa fase si ragiona su due leve principali: la crescita del fatturato e la redditività.
La seconda dimensione su cui ragionare ha a che fare con il cuore del successo aziendale nel lungo periodo: il cliente. La definizione degli obiettivi secondo la prospettiva del cliente porta infatti a ragionare su quale sia la “value proposition” che l’azienda debba veicolare sul mercato e perché tale proposizione ci rende forti agli occhi dei clienti e rispetto ai concorrenti. Solitamente si definiscono obiettivi su tre principali ambiti di differenziazione:
- eccellenza operativa (es. Amazon),
- centralità del cliente (es. Apple),
- leadership di prodotto (es. Intel).
Per ciascun ambito si vanno a definire requisiti minimi ed elementi di differenziazione su cui far leva per rafforzare il vantaggio competitivo.
Si passa quindi a ragionare sulla terza dimensione, la prospettiva dei processi interni. In questa fase si ragiona su quali obiettivi è opportuno darsi per migliorare i processi più critici per raggiungere gli obiettivi economici, rafforzare la proposta di valore per i nostri clienti ed essere più efficienti, rapidi e flessibili.
Si mette in discussione il modello operativo andando a mappare i principali gap esistenti sui processi attuali e quali nuovi processi devono essere implementati. Ad esempio, se un’azienda ha definito che a livello strategico vuole passare dall’essere un fornitore di prodotto ad un partner che offre soluzioni sul mercato, in questa fase si discuterà quali impatti questo cambiamento radicale di approccio abbia sull’attuale modello operativo. La maggior parte dei temi affrontati riguarda l’innovazione e come l’azienda debba evolvere in maniera agile per restare competitiva sul mercato.
L’ultima prospettiva analizzata è la prospettiva dell’ apprendimento e della crescita. Se è vero che le persone sono il vero motore dell’azienda, è opportuno definire a livello strategico piani di azione per farle crescere in termini di conoscenze e competenze, ruoli e responsabilità, costruire meccanismi collaborativi, pensare a logiche di engagement e porsi il tema di se e come interagire negli eco-sistemi di innovazione (formato da fornitori, partner tecnologici, competitor, clienti, università, istituti di ricerca, incubatori, acceleratori, start-up) nei quali l’azienda può giocare la sua parte.
Fig. 2 – Esempio di Strategy Map
La costruzione sequenziale, che ovviamente non esclude delle modifiche o integrazioni ai livelli superiori durante lo sviluppo di quelli inferiori, permette di costruire nel processo quel livello di coinvolgimento, condivisione e consenso (o nemawashi nella cultura giapponese) fondamentale per “accogliere le sfide con coraggio”. La rappresentazione visuale, come in Fig.2, infine permette facilmente di identificare i legami tra i livelli, semplicemente navigando la mappa.
Conclusioni
Il quadro complessivo di riferimento così definito, con tutte le interconnessioni, ovvero il processo di trasformazione olistico dell’organizzazione a lungo termine, integrando la SM con le indicazioni di sviluppo dello stile di leadership e management, alimenta il processo di declinazione delle linee strategiche, l’hoshin kanri come descritto da Jackson, in modo chiaro e condiviso da tutti gli stakeholder.
Prenderanno, quindi, corpo una serie di A3-T, A3-X, A3-P, A3-SR verticalmente e orizzontalmente nell’organizzazione, in relazione A3 padre e A3 figli, a cui viene data vita e ritmo attraverso il coaching kata, per coprire i 7 esperimenti che dall’Hoshin team discendono, attraverso i tactical team e gli operational team, fino agli action team e, quindi, il gemba.
Se la definizione delle intenzioni strategiche e dei processi coinvolti non avviene correttamente, il rischio è di accentuare l’effetto silos tra funzioni, dipartimenti, business unit che svilupperanno solo verticalmente la risoluzione del “problema” strategico assegnatogli.
Cercare di intervenire per scardinare i silos in una fase avanzata di declinazione si dimostra fallimentare, parziale e spesso causa di tensioni negative. Altro effetto indesiderato è l’incomprensione dei legami tra le singole contromisure afferenti ad aree funzionali diverse, oppure la mancata consapevolezza dell’importanza di una azione legata alla strategia contro l’urgenza di un antincendio relativo al business-as-usual.
Queste problematiche portano allo smembramento del concetto di hoshin kanri, che a questo punto produce gli stessi risultati del “solito modo di fare le cose”, ma con la veste dell’A3. E alla fine si iniziano a sentire frasi sul genere: “con tutto quello che ho da fare, devo anche scrivere l’A3?!” oppure “il metodo non funziona!”.
E’ quindi vitale, soprattutto per chi si approccia alla definizione degli intenti strategici per la prima volta, definire la sfida dell’organizzazione prima di cercare di declinarla.
La strategy map senza un processo di declinazione rischia di diventare un esercizio di stile; l’hoshin kanri senza un percorso di definizione della strategia rischia di declinare attività che non troveranno riscontro nei kpi di processo della X-Matrix a livello Hoshin e/o nei risultati economico-finanziari dell’organizzazione.
GLI AUTORI
Matteo Consagra, Lean Coach, Istituto Lean Management
Stefano Marco Papini, advisor, imprenditore e business angel
Massimiliano Bruni, Professore Associato di Strategia aziendale all’Università IULM di Milano e Affiliate professor dell’Area Strategia e Imprenditorialità SDA Bocconi
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